Fidel Castro 18.10.1967

mercoledì 18 marzo 2009

dal discorso pronunciato durante la veglia solenne in memoria del comandante Ernesto Che Guevara in Plaza de la Revoluciòn.

Havana

Compagne e compagni rivoluzionari,
conobbi il Che un giorno di luglio o agosto del 1955. E una sera ebbe l’idea di imbastire la spedizione del "Granma". Ma in quel momento non possedevamo né barca né armi né truppe. Fu così che, assieme a Raúl, il Che si unì al primo dei due gruppi della lista del "Granma".
Da allora sono trascorsi dodici anni; sono stati dodici anni carichi di lotta e di storia. Durante questi anni la morte ha mietuto molte vite coraggiose e insostituibili; ma, allo stesso tempo, durante questi anni della nostra Rivoluzione sono sorte persone straordinarie; e tra gli uomini della Rivoluzione, e tra questi uomini e il popolo, si sono stabiliti legami di affetto e legami di amicizia che vanno al di là di ogni possibile espressione.
Questa notte ci siamo riuniti, voi e noi, per cercare di esprimere in qualche modo questi sentimenti nei confronti di colui che fu uno dei più familiari, uno dei più ammirati, uno dei più amati e, senza alcun dubbio, il più straordinario dei nostri compagni di rivoluzione; esprimere questi sentimenti a lui e agli eroi che hanno combattuto con lui, agli eroi che hanno combattuto con lui, agli eroi che con lui sono caduti nell'esercito internazionalista, che hanno scritto una pagina gloriosa e incancellabile della storia.
Il Che era una persona a cui tutti si affezionavano immediatamente per la sua semplicità, il suo carattere, la sua naturalezza, il suo cameratismo, la sua personalità, la sua originalità, senza conoscere le altre virtù singolari che lo caratterizzavano. […]
Un uomo come lui non aveva bisogno di molti argomenti. Gli era sufficiente sapere che Cuba versava in una situazione difficile, gli bastava sapere che vi erano uomini decisi a combattere questa situazione armi alla mano, gli bastava sapere che quegli uomini si ispiravano a sentimenti puramente rivoluzionari e patriottici. E ciò era più che sufficiente.
Così, un giorno, alla fine del novembre 1956, iniziò con noi la marcia verso Cuba. Ricordo che quel viaggio fu molto duro per lui poiché, date le circostanze in cui fu necessario organizzare la partenza, non poté neppure rifornirsi delle medicine di cui aveva bisogno e passò tutta la traversata in preda a un forte attacco d'asma, senza un momento di sollievo, ma anche senza un solo lamento.
In quell'occasione non solo fu un combattente straordinario, fu anche un medico eccellente, assistette i compagni feriti, e assistette contemporaneamente i soldati nemici feriti. E quando si dovette abbandonare quella posizione, una volta sconfitte tutte le truppe e, intrapresa una lunga marcia, incalzati da diverse forze nemiche, fu necessario che qualcuno rimanesse vicino ai feriti, vicino ai feriti rimase il Che. Aiutato da un piccolo gruppo di nostri soldati, li curò, salvò loro la vita e con essi raggiunse la colonna.
Già da quel momento si segnalò come un capo capace e coraggioso, di quel tipo d'uomini che quando bisogna svolgere una missione difficile non aspetta che glielo chiedano.
Così fece nella battaglia di El Uvero, ma così aveva fatto anche in un episodio mai ricordato: quando, nei primi tempi, per colpa di un tradimento, la nostra piccola truppa fu attaccata di sorpresa da numerosi aerei e, dopo esserci ritirati sotto il bombardamento e aver camminato già per un tratto, ci ricordammo dei fucili di alcuni soldati contadini che erano stati con noi durante le prime azioni e avevano poi chiesto permesso di visitare i loro familiari - era il periodo in cui nel nostro esercito appena organizzato non c'era ancora molta disciplina. E in quel momento pensammo alla possibilità che quei fucili andassero perduti. Stavamo esaminando il problema, sotto il bombardamento, ed ecco che il Che si offrì e partì immediatamente per recuperare quei fucili.
Era una delle sue caratteristiche principali: la disponibilità immediata, istantanea, a offrirsi per realizzare la missione più pericolosa. E ciò, naturalmente, suscitava ammirazione, doppia ammirazione verso quel compagno che lottava assieme a noi, che non era nato in questa terra, che era un uomo dalle idee profonde, nella cui mente brulicavano sogni di lotta in altre parti del continente; ammirazione per quell'altruismo, quel disinteresse, quella disponibilità a fare sempre la cosa più difficile, a mettere costantemente a rischio la propria vita. […]
Il Che era un soldato insuperabile; il Che era un capo insuperabile; il Che era, dal punto di vista militare, un uomo straordinariamente aggressivo. Se come guerrigliero aveva un tallone d'Achille, quel tallone d'Achille era la sua eccessiva aggressività, il suo assoluto disprezzo del pericolo.
I nemici pretendono di giungere a conclusioni sulla sua morte. Il Che era un maestro della guerra, il Che era un artista della guerriglia! […] Queste due imprese lo consacrano un capo straordinariamente capace, un maestro, un artista della guerra rivoluzionaria. Tuttavia, alcuni pretendono di negare la veridicità della sua morte eroica e gloriosa o il valore dei suoi concetti e delle sue idee di guerriglia. Potrà morire l'artista, soprattutto quando si è un artista di un'arte così pericolosa come la lotta rivoluzionaria, ma ciò che assolutamente non morirà è l'arte alla quale dedicò la sua vita e alla quale dedicò la sua intelligenza.
È forse strano che questo artista muoia in combattimento? Ancora più singolare è il fatto che nel corso delle innumerevoli occasioni nelle quali mise a repentaglio la sua vita durante la nostra lotta rivoluzionaria non sia mai morto. E furono molte le volte in cui fu necessario agire per impedire che perdesse la vita in situazioni di minor importanza.
E così, in un combattimento, in uno dei tanti combattimenti a cui partecipò, perse la vita. Non abbiamo sufficienti elementi di giudizio per poter trarre deduzioni da tutte le circostanze che precedettero quella battaglia, né per sapere fino a che punto possa aver agito in modo eccessivamente aggressivo, ma, ripetiamo, se come guerrigliero aveva un tallone d'Achille, quel tallone d'Achille era la sua eccessiva aggressività, il suo assoluto disprezzo del pericolo.
E in questo ci è difficile andare d'accordo con lui, poiché per noi la sua vita, la sua esperienza, le sue capacità di capo battagliero, il suo prestigio e tutto ciò che egli significava in vita erano molto di più, straordinariamente più di quanto forse egli giudicasse se stesso. Sul suo comportamento può avere influito l'idea che gli uomini hanno un valore relativo nella storia, che le cause non vengono sconfitte quando gli uomini cadono e che l'incontenibile cammino della storia non si trattiene né si tratterrà davanti alla caduta dei capi. […]
Nel Che non ammiriamo solo il guerriero, l'uomo capace di grandi prodigi, ciò che fece, ciò che stava facendo, il fatto stesso di confrontarsi da solo assieme a un pugno di uomini contro un esercito oligarchico, istruito dai comandanti yankee forniti dall'imperialismo yankee, appoggiato dalle oligarchie di tutti i paesi vicini - questo fatto di per se stesso costituisce un prodigio straordinario. E se si cerca tra le pagine della storia, forse non si troverà nessun caso in cui qualcuno, con un numero così ridotto di uomini, abbia intrapreso un compito altrettanto prestigioso, in cui qualcuno con un numero così ridotto di uomini abbia ingaggiato la lotta contro forze così cospicue. Tale prova di fiducia in se stesso, tale prova di fiducia nei popoli, tale prova di fede nella capacità degli uomini in combattimento, si potrà forse intravedere nelle pagine della storia, ma comunque non si potrà trovare nulla di simile.
E cadde. […]
La morte del Che, come abbiamo detto alcuni giorni fa, è un colpo duro, è un colpo tremendo per il movimento rivoluzionario poiché lo priva indubbiamente di un capo della sua classe, esperienza e capacità.
Ma si sbaglia chi canta vittoria. Si sbagliano coloro che credono che la sua morte rappresenti la sconfitta delle sue idee, la sconfitta delle sue tattiche, la sconfitta delle sue idee di guerriglia, la sconfitta delle sue tesi. Perché quell'uomo che cadde come un uomo mortale, come un uomo che si era esposto molte volte alle pallottole, come militare, come capo, è mille volte più capace di quelli che lo uccisero grazie a un colpo di fortuna.
Tuttavia, come devono affrontare i rivoluzionari questo colpo avverso? Come devono affrontare questa perdita?
Quale sarebbe l'opinione del Che se dovesse esprimere un giudizio su questo punto? La sua opinione la espresse chiaramente quando scrisse, nel suo messaggio alla Conferencia de Solidaridad Latinoamericana, che se la morte lo avesse sorpreso sarebbe stata sempre la benvenuta, purché quel suo grido di guerra fosse giunto a un orecchio in ascolto e un'altra mano si fosse allungata per impugnare l'arma.
E quel suo grido di guerra non raggiungerà un orecchio in ascolto, raggiungerà milioni di orecchie in ascolto! E non una mano, ma milioni di mani, ispirate dal suo esempio, si allungheranno per impugnare le armi! Nasceranno nuovi capi. E gli uomini, le orecchie in ascolto e le mani che si tendono hanno bisogno di capi che sorgeranno dalle fila del popolo, così come sono nati i capi di tutte le rivoluzioni. […]
L'importante è la rivoluzione, l'importante è la causa rivoluzionaria, sono le idee rivoluzionarie, gli obiettivi rivoluzionari, i sentimenti rivoluzionari, le virtù rivoluzionarie! […]
Gli imperialisti cantano vittoria davanti al guerrigliero morto in combattimento; gli imperialisti cantano vittoria davanti al colpo di fortuna che li ha portati a eliminare un uomo d'azione così formidabile. Ma forse gli imperialisti ignorano o vogliono ignorare che il carattere dell'uomo d'azione era una delle tante sfaccettature della personalità di questo combattente. E se si tratta di dolore, noi piangiamo non solo la perdita dell'uomo d'azione, noi piangiamo la perdita dell'uomo virtuoso, noi piangiamo la perdita dell'uomo dalla squisita sensibilità umana: e ci addolora pensare che aveva solo trentanove anni al momento della morte, ci addolora pensare che abbiamo perso l'opportunità di ricevere i frutti di quell'intelligenza e di quell'esperienza in continuo sviluppo. […]
Il Che non cadde per difendere un altro interesse, per difendere un'altra causa che non fosse la causa degli sfruttati e degli oppressi di questo continente; il Che non cadde per difendere un'altra causa se non quella dei poveri e degli umili di questa terra. E i suoi nemici più accaniti non osano neppure discutere il modo esemplare e il disinteresse con cui difese tale causa. […]
Ci ha lasciato il suo pensiero rivoluzionario, ci ha lasciato le sue virtù rivoluzionarie, ci ha lasciato il suo carattere, la sua volontà, la sua tenacia, il suo spirito di lavoro. In una parola, ci ha lasciato il suo esempio! E l'esempio del Che deve essere un modello per il nostro popolo, l'esempio del Che deve essere il modello ideale per il nostro popolo! […]
Ecco perché, compagni e compagne della Rivoluzione, noi dobbiamo guardare con fermezza e decisione al futuro; ecco perché dobbiamo guardare con ottimismo al futuro. E cercheremo sempre nell'esempio del Che l'ispirazione, l'ispirazione alla lotta, l'ispirazione alla tenacia, l'ispirazione all'intransigenza di fronte al nemico e l'ispirazione al sentimento internazionalista!
Ecco perché noi, stanotte, dopo questa manifestazione impressionante, dopo questo incredibile - per la sua grandezza, per la sua disciplina e per la sua devozione - atto di riconoscenza della folla, che dimostra come questo sia un popolo sensibile, che dimostra come questo sia un popolo grato, che dimostra come questo popolo sia solidale con la lotta rivoluzionaria, che dimostra come questo popolo sappia onorare la memoria dei coraggiosi che cadono in combattimento, che dimostra come questo popolo sappia riconoscere quelli che lo servono, che dimostra come questo popolo sia solidale con la lotta rivoluzionaria, che dimostra come questo popolo innalzi e mantenga sempre in alto e sempre più in alto le bandiere rivoluzionarie e i principi rivoluzionari; oggi, in questi momenti di ricordo, eleviamo il nostro pensiero, con ottimismo, al futuro, con ottimismo assoluto nella vittoria definitiva dei popoli e diciamo al Che, e con lui agli eroi che combatterono e caddero assieme a lui: Hasta la victoria, Siempre!
Patria o muerte!
Venceremos!

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